Graffiti Giornalino online | Buchi neri: a che punto siamo arrivati? 
16102
single,single-post,postid-16102,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,side_area_uncovered_from_content,qode-theme-ver-7.9,wpb-js-composer js-comp-ver-4.9.1,vc_responsive
 

Buchi neri: a che punto siamo arrivati? 

quasar 3C 279

08 Giu Buchi neri: a che punto siamo arrivati? 

Fino a un anno fa parlavamo dell’ “invisibile” fotografato dalla “National Science Foundation”; un mese fa un gruppo di astronomi della “Event Horizons Telescope” è riuscito a fotografare un “quasar” che fuoriesce da un buco nero e, ora, siamo addirittura arrivati a calcolare la velocità di rotazione di questi corpi celesti. Ma questo studio quando è iniziato? Dobbiamo tornare nel lontano 1919, quando Albert Einstein elaborò la teoria della “relatività generale” che sosteneva l’esistenza di questi buchi neri. Einstein diceva che “lo spazio non può essere considerato indifferente in presenza di materia, ma da quest’ultima può essere curvato”. Il buco nero è indubbiamente la conseguenza più estrema della teoria, essendo enormi quantità di materia stipate in uno spazio piccolissimo permettono allo spazio stesso di curvarsi in modo tale che la materia e, persino, la luce non potranno fuoriuscire per l’enorme forza gravitazionale. Queste erano solo ipotesi, molti scienziati si dimostrarono scettici, ma le osservazioni compiute durante l’eclissi di sole del 1919, confermarono le ipotesi di Einstein, ma non l’esistenza dei buchi neri, che con il passare degli anni e lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate, venne confermata dagli “effetti visibili” della loro presenza. Per questo distinguiamo quelli “stellari”, per la loro precedente vita di stella, e quelli “super massicci”, per le loro dimensioni. Quest’ultimi si trovano al centro di tutte le galassie e si può rivelare la loro presenza dai getti di polveri e gas ad alte temperature e dai moti delle stelle vicine. Quindi, dopo aver verificato l’esistenza di questi fenomeni, l’altro passo da compiere era quello di riuscire a fotografarne uno. Il lavoro fatto per arrivare a quel risultato è durato ben dieci anni: i radioastronomi hanno posizionato circa una decina di telescopi in tutti i continenti, tecnica nota come “Large Baseline Interferometry”. Qui, però, si crearono due problemi: il primo fu quello di avere condizioni meteorologiche favorevoli e il secondo fu quello di gestire un’enorme quantità di dati, trasportati manualmente fino ai centri di calcolo. Poi pensando al tempo che ci è voluto per analizzarli: le osservazioni sono state compiute tre anni fa e altri due anni per analizzare le informazioni raccolte e confrontarle con le previsioni teoriche. Però alla fine il risultato è stato incredibile: abbiamo visto il bordo di un buco nero, l’unica parte visibile perché è formata da gas e polveri, il cosiddetto “orizzonte degli eventi”; infatti un buco nero, per la sua natura, è invisibile a occhio nudo. Circa un mese fa gli astronomi della “Event Horizons Telescope” sono riusciti a ottenere un’immagine del “quasar 3C 279” che presenta un buco nero supermassiccio con una massa di circa un miliardo di volte quella del Sole. Il gruppo di esperti della “Event Horizons Telescope” continua ad analizzare informazioni dai dati raccolti nell’Aprile 2017: uno degli obiettivi delle osservazioni era una galassia distante circa 5 miliardi di anni luce da noi, stanziata nella Costellazione della Vergine e classificata come quasar per via di un getto ultraluminoso di energia al suo centro, dovuta alla presenza di un enorme buco nero che divora materia. Gli astronomi della “EHT” dichiarano che, durante le loro osservazioni, hanno notato getti di plasma che venivano espulsi ad una velocità prossima a quella della luce. Per scattare altre immagini più dettagliate del quasar, il team di astronomi ha usato una tecnica conosciuta come “Very Long Baseline Interferometry” che consisteva nel cercare di osservare lo spazio con un radiotelescopio grande quanto la Terra usandone molti, tecnica simile al “Large Baseline Interferometry”. Per quanto riguarda la “galassia-quasar 3C 279”, si ipotizza che i getti che fuoriescono dal disco di accrescimento potrebbero rappresentare i poli del corpo celeste. I dettagli delle immagini cambiano nel corso di giorni consecutivi, forse per via della rotazione del disco di accrescimento e della caduta di materia nel buco nero, un fenomeno ipotizzato ma mai osservato prima d’ora. Infine, circa una settimana fa, sono riusciti a capire come calcolare la “velocità di rotazione di un buco nero”. Secondo gli astrofisici, i buchi neri sono tutti molto simili tranne per tre differenze: la carica elettrica, la massa e la velocità di rotazione. La carica elettrica di un buco nero può essere sia positiva che negativa, fattore che dipende dalla quantità di protoni e di elettroni assorbiti, anche se si pensa che sia una carica netta. La sola difficoltà incontrata finora nel capire le differenze tra questi fenomeni è stata proprio quella di stabilire come riuscire a calcolare la velocità di rotazione di un buco nero, perché, a differenza di una stella o di un pianeta, non c’è la possibilità di osservarli direttamente, sono invisibili! Quindi come hanno fatto? Gli astronomi hanno deciso di concentrarsi sulla parte visibile che lo circonda, il disco di accrescimento, e, misurando la sua velocità di rotazione si può immaginare la velocità di rotazione anche del buco nero. Non avendo la possibilità di osservare un parte del disco, gli astronomi hanno misurato i brillamenti a raggi X che si verificano quando il disco va a velocità massima. Poi, si è notato che, più la velocità era alta, più l’orizzonte degli eventi diventa piccolo e proprio questa caratteristica determina la massima velocità di rotazione di un buco nero. Tutte queste informazioni sono tasselli che andranno a formare un puzzle in continua evoluzione su questi straordinari corpi celesti e, noi ci auguriamo di saperne sempre di più.

Un appassionato di astronomia, astrofisica e cosmologia
Alessandro Nevoso